Carcinoma della prostata

  • Che cosa è il carcinoma della prostata?

Il cancro della prostata è una delle neoplasie più frequenti nella popolazione maschile con un ampia variabilità geografica. La sua incidenza ha subito un costante aumento negli ultimi venti anni, in particolare negli USA e in molti paesi occidentali industrializzati. In Italia, esso rappresenta la terza patologia neoplastica per incidenza e la quarta per mortalità, con circa 13.000 nuovi casi diagnosticati per anno.

La familiarità (diagnosi di carcinoma della prostata nei familiari di primo grado) e la dieta (il regime dietetico occidentale ad elevato contenuto di grassi e proteine animali sembra comportare un maggiore rischio di carcinoma prostatico, mentre la dieta orientale ricca di verdure e sostanze quali la soia sembra avere un effetto protettivo) sono considerati fattori di rischio per lo sviluppo del carcinoma prostatico.

Il carcinoma della prostata si manifesta raramente con una sintomatologia di accompagnamento. L’eventuale presenza di una sintomatologia minzionale non correla con la presenza e l’eventuale sviluppo della malattia.

Il PSA: come interpretarlo:

Negli ultimi 20 anni, l’ampia diffusione del dosaggio nel sangue dell’antigene prostatico-specifico (PSA) ha rivoluzionato l’approccio diagnostico al carcinoma prostatico. Il PSA rappresenta ancora il miglior marcatore sierico, utile sia nella diagnosi che nel monitoraggio della malattia. Rappresenta però un marcatore organo-specifico e non tumore-specifico il cui difetto principale è la bassa specificità (alto numero di falsi positivi) legata al fatto che fattori quali l’età, il volume prostatico e le prostatiti possono causarne un aumento. Non esistono quindi valori normali di riferimento anche se è comunemente accettato che un valore di PSA < 2.5 ng/ml sia da considerare “normale”. Inoltre, per una corretta interpretazione del PSA, deve essere maggiormente considerata la dinamica del PSA e non il suo valore singolo. Il rapporto PSA libero/PSA totale è il derivato del PSA più utilizzato nella pratica clinica al fine di diminuire il numero dei falsi positivi.

  • Come si fa la diagnosi?

I programmi di diagnosi precoce, consigliati ai soggetti con età >50 anni o > 45 anni (in caso di familiarità positiva per tumore della prostata), si fondano sull’utilizzo del dosaggio del PSA sierico, unitamente all’esplorazione rettale. Essa ha però perso gran parte della sua importanza a causa della cosiddetta stage migration, che ha portato a diagnosticare quasi tutti i tumori in fase localizzata e non già metastatica come 20-30 anni fa. Infatti, la quasi totalità dei tumori oggi diagnosticati non sono palpabili all’esplorazione rettale. E’ comunque un esame estremamente dipendente dall’esperienza dell’esaminatore e la sua sensibilità, così come la sua specificità, restano notevolmente basse, in quanto consente di esaminare solo la porzione posteriore della ghiandola. L’esplorazione rettale è quindi un esame necessario ma sicuramente non sufficiente nella diagnosi del tumore della prostata.

In presenza di un sospetto diagnostico, sulla base di un PSA elevato o di una esplorazione rettale dubbia o positiva, viene posta indicazione all’esecuzione di una biopsia della prostata. L’esame dei campioni bioptici prelevati (frammenti di tessuto prostatico) permette di eseguire una diagnosi di certezza della presenza di una neoplasia della prostata. La biopsia prostatica viene eseguita mediante una tecnica di prelievo transrettale o trans-perineale, impiegando l’ecografia prostatica transrettale o tecniche di fusione ecografia/risonanza magnetica per identificare la ghiandola prostatica e/o la lesione sospetta e guidare all’interno della ghiandola un sottilissimo ago per eseguire biopsie multiple (almeno 12-14 prelievi). L’esame viene eseguito in anestesia locale/sedazione endovenosa, e può comportare alcune minime complicanze temporanee come sanguinamento rettale e/o uretrale, emospermia (sangue nel liquido seminale) ed infezione urinaria.

Circa il 30-40% dei soggetti con PSA elevato che vengono sottoposti a biopsia prostatica risultano avere un tumore della prostata, mentre nel 60-70% dei casi, il rialzo del PSA è dovuto a fenomeni di tipo infiammatorio o alla fisiologica crescita ghiandolare. Tuttavia, in caso di negatività della biopsia, ma di persistenza dei sospetti clinici o di laboratorio (PSA elevato), può essere necessario ripetere la procedura a distanza di tempo.

L’ecografia prostatica transrettale è indicata nei casi sospetti, ma fondamentalmente rappresenta la metodica di imaging di scelta per eseguire una biopsia prostatica.

La risonanza magnetica multiparametrica (mpMRI) rappresenta la metodica diagnostica più accurata per l’individuazione di un tumore della prostata clinicamente signficativo. E’ indicata in tutti i casi sospetti per tumore della prostata, ma principalmente nei soggetti con spettanza di vita >10 anni e PSA persistentemente elevato dopo una biopsia prostatica risultata negativa o nei soggetti inseriti in programmi di sorveglianza attiva (vedi terapie

La scintigrafia ossea, la TC addome-pelvi e l’Rx Torace rappresentano esami di stadiazione capaci di rivelare la presenza di patologia metastatica ossea, linfonodale o polmonare.

  • Quali terapie esistono?

La scelta della terapia dipende dallo stadio e grado del tumore, dall’età e dalle condizioni generali del paziente. Esistono, comunque, quattro principali opzioni terapeutiche:

  • Sorveglianza attiva: Consiste nel controllare periodicamente con il dosaggio del PSA e la biopsia prostatica, l’evolversi della malattia che presenta, se di basso grado e nei pazienti anziani, una lenta crescita. Lo scopo è quello di evitare gli effetti collaterali delle terapie tradizionali e di poter comunque iniziare una terapia idonea in caso di segni di progressione di malattia. I rischi sono legati alla possibile necessità di trattare una malattia in stadio più avanzato rispetto alla diagnosi.
  • Terapie focali: sono terapie ablative ancora in fase di studio ma con risultati iniziali oncologici molto incoraggianti che consentono di trattare la patologia tumorale clinicamente significativa con preservazione dell’organo e quindi con minime complicanze. Tutte le terapie focali si basano sul concetto di “terapia mirata” e sono applicabili a pazienti selezionati. I vantaggi connessi sono numerosi: sono distrutte solo le zone specifiche interessate dal tumore, preservando il tessuto sano e la funzione specifica della ghiandola. Gli effetti collaterali indesiderati sono minimi e significativamente inferiori a quelli conseguenti alla chirurgia tradizionale o alla radioterapia. La terapia focale inoltre può essere ripetuta nel tempo. Le principali metodiche focali sono la Crioablazione e l’HIFU (Ultrasuoni focalizzati ad alta intensità). La scelta della tecnica più indicata dipende dalle dimensioni della prostata e dalla localizzazione spaziale del tumore che avviene eseguendo una risonanza magnetica multiparametrica.
  • Chirurgia: La prostatectomia radicale, eseguibile a cielo aperto come anche per via laparoscopica o robot-assistita, prevede la rimozione in blocco della ghiandola prostatica e delle vescicole seminali. L’intervento è indicato in pazienti di età inferiore ai 70 anni, in buone condizioni generali, quando la malattia è clinicamente localizzata alla ghiandola prostatica. Le principali complicanze legate alla terapia chirurgica sono rappresentate dal rischio di incontinenza urinaria (5-10%) e di impotenza (20-80%). Una terapia riabilitativa del piano muscolare perineale (esercizi di Kegel, biofeedback) potrà essere impostata al fine di favorire il recupero della completa continenza dopo l’intervento, che solitamente necessita di circa 3-6 mesi protraendosi talvolta anche a 12 mesi. L’assenza di erezioni dopo l’intervento può essere normale nei primi 3-6 mesi. Esistono comunque diverse alternative terapeutiche nel caso di impotenza post-chirurgica (Questionario: Indice internazionale della funzione erettile – IIEF-6) ai fini di una riabilitazione/terapia sessuale che si basano essenzialmente sull’utilizzo, per via orale, di farmaci inibitori della fosfodiesterasi (sildenafil, tadalafil, vardenafil) o di farmaci vasoattivi per via intracavernosa. Va precisato che questi farmaci possono avere un effetto terapeutico solo nei pazienti in cui il fascio vascolo-nervoso sia stato conservato durante l’intervento chirurgico (intervento con tecnica nerve-sparing).
  • Radioterapia: consiste nell’applicazione di radiazioni ionizzanti prodotte da un acceleratore lineare che causano la distruzione delle cellule tumorali. La terapia è indicata in pazienti con malattia localizzata o localmente avanzata anche dopo i 70-75 anni. Le radiazioni possono essere erogate da una macchina esterna all’organismo (radioterapia esterna o conformazionale) oppure la sostanza radioattiva (radioisotopo) può essere immessa direttamente nella lesione (Brachiterapia). Le principali complicanze legate a questo trattamento sono impotenza (20-60%), diarrea ed urgenza alla defecazione (5-10%), disturbi minzionali (5-15%), incontinenza urinaria (5%)
  • Ormonoterapia (o terapia ormonale): consiste nella somministrazione sottocutanea, intramuscolare e/o per via orale di farmaci che interferiscono con il metabolismo degli ormoni androgeni, al fine di bloccare la crescita e la proliferazione delle cellule tumorali (castrazione chimica). La castrazione chirurgica (asportazione di entrambi i testicoli) è riservata a casi particolari. Il trattamento è indicato in caso di malattia avanzata o metastatica, di recidiva dopo terapia chirurgica o radiante e nei pazienti molto anziani. Questo trattamento è comunque gravato da una serie di effetti collaterali, più o meno tollerati dal paziente, quali: osteoporosi, vampate di calore, perdita della libido, deficit erettile, dolore mammario e in taluni casi tossicita’ epatica, cardiovascolare o intestinale.